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rassegne di cinema
/ rétrospectives de cinéma
2004:
CINEMA E SAPORI DALL'INDIA
rassegna di cinema bengalese d'autore
Associazione
Culturale Italo Calvino (ARCI-UCCA) Comune
di Quartucciu (Assessorato alla Cultura)
Cinegrafica.it ALASSA(associazione
di lavoratori stranieri) Mediazione
Sardegna
Cinema
e Sapori dall'India
Cinema
& Flavours from India
19 novembre
- 17 dicembre 2004
Casa Angioni, via Neghelli
Quartucciu(CA)
rassegna
di cinema bengalese d'autore
mostra
mercato permanente di artigianato e costumi indiani
con degustazioni di cibo tipico indiano
scarica presentazione rassegna
(file pdf)
scarica programma rassegna
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Link Italo Calvino
Link Satyajit Ray
Link Mrinal Sen
programma
venerdì
19 novembre 2004, ore 21
film: IL CINEMA INDIANO NEL
CENTENARIO DEL CINEMA
Regia: Mrinal Sen
CENA TIPICA INDIANA
venerdì 26 novembre
2004, ore 21
film: PATHER PANCHALI (IL LAMENTO
SUL SENTIERO)
Regia: Satyajit Ray
venerdì 3 dicembre
2004, ore 21
film: APARAJITO (L’INVITTO)
Regia: Satyajit Ray
venerdì 10 dicembre
2004, ore 21
film: APUR SANSAR ( IL MONDO
DI APU )
Regia: Satyajit Ray
venerdì 17 dicembre
2004, ore 21
film: HUNGRY AUTUMN (L'AUTUNNO
DELLA FAME)
Regia: Goutam Ghose
BALLI E CANTI FOLK INDIANI
rassegna di cinema bengalese d’autore
dati e sinossi dei film:
IL CINEMA INDIANO NEL CENTENARIO DEL CINEMA
(doc., India 1995, col., 54' versione italiana)
Regia: Mrinal Sen
Un documentario sui primi cent’anni delle cinematografie
indiane, diretto da uno dei principali esponenti del cinema bengalese
la trilogia di Apu:
1) PATHER PANCHALI (IL LAMENTO SUL SENTIERO)
(India 1955, b/n, 115' vers. bengali con sott. italiani)
Premio a Cannes 1956 per i valori umanitari
Regia: Satyajit Ray
2) APARAJITO (L'INVITTO)
(India 1957, b/n, 110' vers. bengali con sott. italiani)
Leone d'oro a Venezia 1957
Regia: Satyajit Ray
3) APUR SANSAR (IL MONDO DI APU)
(India 1959, b/n, 106' vers. bengali con sott. italiani)
Regia: Satyajit Ray
La vita del bengalese Apu nelle sue stagioni di bambino
(Pather Panchali), adolescente (Aparajito) e padre (Apur Sansar).
Una trilogia che è il primo successo internazionale del cinema
indiano, realizzata dal più grande regista indiano del ‘900; ma
soprattutto si tratta di una delle vette più alte del cinema mondiale.
HUNGRY AUTUMN (L'AUTUNNO DELLA FAME)
(India 1976, b/n, 28' vers. inglese con sott.italiani)
Regia: Goutam Ghose
Reportage sulla grave carestia che nel ’74 ridusse alla fame il
Bengala, realizzato da uno dei più validi autori del cinema
bengalese contemporaneo.
Cinema (e Sapori)
dall’India: così abbiamo chiamato
questa rassegna, e non Cinema Indiano. Esiste infatti un cinema
dell’India, intesa come entità politica, ma non un cinema indiano, se
pensiamo che in India la produzione cinematografica in lingua hindi (la più
diffusa) è affiancata da altre produzioni in circa 15 lingue diverse:
bengali, tamil, telugu, malayalam, kannada...
Di fronte a una tale varietà
e alla conseguente impossibilità, in una rassegna di cinque appuntamenti,
di offrirne una prospettiva non limitata, si è scelto di focalizzare
l’attenzione sul Bengala, una delle regioni culturalmente più fertili
dell’India: il cuore della rassegna, la trilogia di Satyajit Ray,
è in lingua bengali e i tre registi dei film selezionati sono nati a
Calcutta - Ray e Ghose - e nel Bengala orientale (l’attuale Bangladesh) - Mrinal
Sen -. Il cinema bengalese, oltre ad un valore artistico notevole (nei suoi
maggiori esponenti), ha una tradizione di impegno sociale; un impegno al quale
il cinema di Bombay - la Hollywood dell’India, ormai conosciuta come “Bollywood”
- si è quasi sempre sottratto, privilegiando canzoni e danze, nella sua
numericamente gigantesca produzione.
Cinema e Sapori dall’India, invece, le canzoni e le
danze (come anche la cucina e l’artigianato indiani) le presenta
in
una collocazione più opportuna, vale a dire in uno spazio proprio, al
di fuori dei film e del linguaggio cinematografico.
I FILM
rassegna di cinema bengalese
d’autore
a cura di Alessio Liberati
Il regista del film che
apre la rassegna, Il cinema indiano nel
centenario del cinema (1995), è Mrinal Sen (1923), uno dei rinnovatori
del cinema indiano; un autore che spesso ha affrontato i problemi sociali ed
economici dell’India. Questo suo documentario testimonia la varietà delle
cinematografie indiane e la difficoltà di darne un quadro completo: Sen tenta infatti una panoramica
del cinema indiano nel ‘900, ma vi riesce solo
in parte (stupisce, ad esempio, l’assenza di Girish Kasaravalli, regista di
lingua kannada fra i più importanti). Tuttavia alcuni capolavori vengono
ben evidenziati, a partire da Pather Panchali (1957)
di Satyajit Ray.
Maggiore innovatore del
cinema indiano, Satyajit Ray (1921-1992), pittore, illustratore,
musicista, si dedicò al cinema sulla spinta
di due eventi fondamentali: il suo incontro nel’49 con Jean Renoir, allora in
India per girare Il fiume,
e la visione di Ladri
di biciclette di De Sica. Non è
un caso se del regista italiano Ray ha la stessa capacità di rendere
filmicamente le emozioni e di suscitarle nello spettatore, la stessa finezza
psicologica, oltre all’impronta neorealista, evidente nella scelta (rivoluzionaria
per il cinema indiano) di attori non professionisti.
Tuttavia sarebbe limitante
e, in un certo senso, errato parlare solo di (neo)realismo, poichè
le
vicende di Pather Panchali si svolgono negli anni ‘20: l’intento di Ray non è
tanto rappresentare una realtà contemporanea (alla quale comunque il
film rimanda, tanto che subì la censura del governo indiano, perchè
mostrava la povertà così com’era ) ma arrivare all’essenza dell’esistere
attraverso i fatti della quotidianità, alla “rivelazione di grandi verità
in un dettaglio”,
in quel legame tra realtà e Assoluto, tra individuo
e universo,
che è forse la caratteristica più profonda
dell’India.
Ray riesce molto bene nel
suo intento, nonostante gli scarsi mezzi a disposizione, coniugando immagini
che celebrano le stagioni della
natura alla musica di Ravi Shankar (anche questa un’innovazione rispetto alle
tradizionali canzoni dei film indiani ), il cinema europeo al lento
fluire tipico del più autentico cinema orientale (anche dei giorni nostri),
come pure del romanzo indiano, che spesso - insieme alla poesia di Tagore -
ha ispirato il regista. Il suo cinema ha il ritmo del respiro che nasce dal rispetto dei tempi
della natura e dell’uomo.
Pather Panchali è
il primo film della Trilogia di Apu (che prosegue con
Aparajito e Apur
Sansar) in cui Ray segue la vita del personaggio centrale,
Apu, nelle sue stagioni di bambino (Pater Panchali), adolescente (Aparajito)
e padre (Apur Sansar).
Tuttavia la trilogia non
inizia con Apu, ma con il mondo dal quale
egli nascerà (la sua famiglia), per concludersi mostrando il mondo che verrà dopo
di lui (suo figlio); a conferma di quella concezione circolare
della vita, radicata nel pensiero orientale, che vede il tempo come una
sorta di eterno presente che si ripete, mutando ciclicamente all’infinito (laddove
l’Occidente cristiano ha invece una concezione lineare e progressiva).
Un aspetto
questo già reso evidente, nei tre film, dalla presenza della morte e
dei simboli naturali: l’acqua, che è rinascita (il fiore di loto) ma anche distruzione
e morte (la morte di Durga); il fiume, purificatore, ma anche confine fra vita
e aldilà (la canzone della zia di Apu); l’albero,
cosmico trait d’union fra terra e cielo, su cui la madre si appoggia prima
di morire; la foresta, che riprende possesso della casa abbandonata.
Ma troviamo anche i simboli
della modernità, come il treno, collegamento fra mondo rurale e città
e, di riflesso, fra tradizione e modernità, fra culti arcaici e scienza.
Inizialmente Apu studia
la scienza e in essa vede un superamento della
tradizione, un’occasione per lasciarsi alle spalle la povertà del villaggio
natìo; ma infine egli giunge a una parziale riconciliazione con la tradizione
e con il proprio passato personale (Apu sta per lasciare l’India, quando decide
di tornare a Calcutta, assecondando il desiderio del figlio).
Nel ‘73, Ray vinse l’Orso
d’oro a Berlino con un film sulla carestia che colpì il Bengala durante
la 2° guerra mondiale. Un anno dopo, lo stesso argomento è affrontato
da Goutam Ghose (1950), uno dei più
validi autori della scuola bengalese, in un documentario, Hungry Autumn, su un’altra grave carestia
che in quell’anno ridusse alla fame il Bengala.
Ghose analizza le cause
e le responsabilità di quell’evento, attribuendole
a due secoli di colonialismo (con la complicità dei signori feudali)
e all’attuale sfruttamento imperialistico su scala globale. Ma giustamente egli
associa il controllo dei mezzi di produzione da parte di una minoranza della
popolazione anche ai resti dell’antico sistema feudale, fondato sulle caste,
di cui denuncerà gli aspetti più crudeli nei suoi film degli anni
‘80. Questa è l’altra
faccia della tradizione indù, in cui la relazione uomo-cosmo degrada in società-ordine
cosmico, ossia nel dharma, che induce il ricco a
far bene il ricco e il povero a far bene il povero, ciascuno nel proprio ruolo
“naturale”. Qui il concetto di "armonia” con l’ordine cosmico perde ogni
attrattiva per un occidentale: la non alterabilità
di quell’ordine costringe il povero a rassegnarsi alla povertà in questa
vita, sperando nella successiva...